Mantenimento di figli nati da genitori non coniugati

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I genitori non coniugati, alla cessazione della convivenza, possono raggiungere un accordo negoziale in ordine al mantenimento dei figli.

Tale pattuizione è valida e lecita anche in assenza di un previo controllo giudiziale.
Infatti, la disposizione dell'art. 337 del codice civile fa espressamente menzione dell’accordo tra i genitori che abbia ad oggetto le modalità di contribuzione ai bisogni della prole.
Si tratta di un negozio che costituisce espressione dell’autonomia privata delle parti, tuttavia, dal momento che riguarda l’adempimento di un obbligo previsto dalla legge – ossia l’obbligo di mantenimento in capo ai genitori – la suddetta autonomia negoziale si sostanzia solo nel regolarne le modalità, ad esempio, prevedendo un assegno periodico o il trasferimento di beni.
Il limite invalicabile, ai fini della sua vincolatività, riguarda l'effettiva corrispondenza delle pattuizioni all'interesse morale e materiale della prole. Quindi, il giudice adito dalle parti, in base al citato criterio, può integrare o modificare l’accordo.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza 11 gennaio 2022, n. 663.

La questione
A seguito della cessazione della convivenza more uxorio, le parti concludevano un accordo in ordine al mantenimento per il figlio minore nato dalla relazione. In virtù di tale intesa, il padre trasferiva la proprietà di un immobile al figlio, ottenendo in cambio l’esonero dagli obblighi di contribuzione, fatte salve le spese scolastiche e di abbigliamento.
La donna agiva in giudizio contro l’ex convivente al fine di ottenere il riconoscimento di un contributo mensile al mantenimento per il minore. Il giudice, preso atto dell’accordo di cui sopra, dichiarava inammissibile la domanda della madre e si limitava a precisare che il padre doveva contribuire alle spese di vestiario e a quelle straordinarie – documentate e concordate – nella misura della metà. In sede di gravame, la Corte d’Appello accoglieva il reclamo della donna e stabiliva un contributo al mantenimento a carico del padre nella misura di 250 euro mensili.
Secondo il giudice di merito, l’accordo negoziale tra le parti era inefficace stante la mancanza di un controllo giudiziario, inoltre, il trasferimento di proprietà risultava insufficiente a soddisfare le esigenze del figlio, ormai adolescente. Si giunge così in Cassazione.
Le argomentazioni del padre
Tra le varie doglianze, il padre del minore contesta la decisione di merito, atteso che l’accordo raggiunto tra le parti è legittimo, anche in considerazione del fatto che egli partecipa alle spese scolastiche e di vestiario. Il ricorrente sottolinea, altresì, l’assenza di mutamenti delle condizioni economiche sopravvenuti rispetto al momento in cui era stato raggiunto l’accordo; da ciò deriva che dette pattuizioni non possano essere modificate. Al contrario, il giudicante è andato oltre a quanto richiesto dalla controparte – incorrendo nel vizio di ultrapetizione – dichiarando l’illegittimità dell’accordo.
La Suprema Corte considera infondate tutte le censure per le ragioni che seguono.
Il giudice non è vincolato dalle richieste o dagli accordi tra genitori
Il giudice adotta i provvedimenti che reputa idonei a tutelare l’interesse morale e materiale della prole (art. 337 ter c.c.) e, nel corso di tali procedimenti, egli non è vincolato al principio dispositivo o della rispondenza tra il chiesto e il pronunciato (Cass. 25055/2017). Infatti, per giurisprudenza costante, sia in tema di separazione e divorzio, ma anche in relazione ai figli di genitori non coniugati, opera il principio per cui il criterio di riferimento è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole.
Da ciò discende che il giudice non sia vincolato dalle richieste avanzate dai genitori o dagli accordi intervenuti tra gli stessi (Cass. 11412/2014; Cass. 10174/2012, Cass. 6606/2010; Cass. 17043/2007). Tornando al caso di specie, l’esistenza di un accordo negoziale tra i genitori non è impeditivo di una diversa regolamentazione qualora il giudice la ritenga rispondente all’interesse del minore.
L’obbligo di mantenimento e la determinazione del contributo
Il padre invoca l’accordo negoziale – con il quale aveva trasferito l’immobile al figlio – per giustificare il proprio esonero dall’obbligo di mantenimento del minore. Secondo la Corte, l’accordo di per sé è valido, ma occorre considerare il contesto normativo in cui si inserisce.
Infatti, l’art. 337 ter c. 4 c.c. fa espressamente salvi gli “accordi liberamente sottoscritti dalle parti” e prosegue stabilendo che ciascun genitore contribuisce al mantenimento dei figli in misura proporzionale al reddito. La disposizione prevede che il giudice stabilisca, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando diversi parametri come:
• “le attuali esigenze del figlio
• il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori
• i tempi di permanenza presso ciascun genitore
• le risorse economiche di entrambi i genitori
• la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
Riassumendo: ciascun genitore contribuisce al mantenimento della prole e, in caso di crisi della coppia, è prevista la corresponsione dell’assegno di mantenimento a carico di uno dei due. La determinazione del contributo è rimessa all’autonomia negoziale e agli accordi tra le parti. In caso di conflitto, interviene il giudice, che si attiene ai parametri sopra elencati.
Nel caso di separazione consensuale o di divorzio congiunto, la sentenza opera un controllo esterno sull’accordo concluso dai coniugi. Infatti, il giudicante effettua una “verifica” volta a tutelare i diritti indisponibili del soggetto più debole e della prole.

Quindi, i coniugi, nel rispetto di tali diritti indisponibili, possono concordare:
• gli aspetti patrimoniali,
• e gli aspetti personali della vita familiare, come l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori (Cass. 18066/2014).
La giurisprudenza in tema di accordo sul mantenimento
L’obbligo di mantenimento dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti può essere adempiuto mediante un accordo tra genitori. In tali circostanze, in luogo dell’assegno periodico o in concorso con esso, le parti possono stabilire di attribuire ai figli la proprietà di beni mobili e immobili. L’accordo non integra una donazione ma un negozio con funzione solutoria-compensativa e rientra nell’autonomia negoziale delle parti (art. 1322 c.c.).
In materia di separazione consensuale, la giurisprudenza ha affermato che la convenzione con cui i coniugi operano un trasferimento patrimoniale ai figli, a titolo gratuito, la cui funzione consista nell’adempimento dell'obbligo di mantenimento, non è nulla. Infatti, un simile accordo garantisce il risultato solutorio e non si pone in contrasto con norme imperative né con diritti indisponibili (Cass. 21736/2013). Inoltre, si è affermato che l’accordo tra i coniugi, concluso ai margini del giudizio di separazione o divorzio, non necessita della previa omologazione giudiziale per essere produttivo di effetti stante la sua natura negoziale (Cass. 24621/2015).
Infine, in materia di accordi conclusi in vista del divorzio, è valido «il patto stipulato tra i coniugi per la disciplina della modalità di corresponsione dell'assegno di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l'altro genitore» (Cass. 5065/2021).
Le Sezioni Unite (Cass. 21761/2021) hanno ribadito che sono valide le clausole dell'accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta in cui:
• sia riconosciuta in capo ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni (mobili o immobili) o la titolarità di altri diritti reali,
• oppure sia operato il trasferimento di tali beni a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento.
L’accordo tra i genitori non necessita di previa omologazione giudiziale
Al lume di quanto sopra, la Suprema Corte corregge la motivazione della pronuncia gravata ed afferma che è valido anche un accordo intervenuto alla cessazione di un rapporto di convivenza di fatto, avente ad oggetto le modalità di contribuzione dei genitori ai bisogni e necessità della prole. Un tale negozio, infatti, è espressione dell'autonomia privata e risulta lecito, «non essendovi necessità di un'omologazione o controllo giudiziale preventivo». La giurisprudenza ha definito tali accordi come “negozi familiari a contenuto essenziale”, dal momento che hanno ad oggetto un obbligo di legge, ossia il mantenimento della prole (Cass. 9034/1997, Cass. 24321/2007, Cass. 11342/2004, Cass. 16909/2015).
L’accordo dei genitori incontra un limite: la corrispondenza tra le pattuizioni e l’effettivo interesse dei figli. In altre parole, l’accordo regola solo le modalità di adempimento di una prestazione – il mantenimento – che è comunque dovuta.
Per questa ragione, l’esistenza di una simile pattuizione, raggiunta in sede di separazione personale dei coniugi, non esime il giudice, in sede di divorzio, dal verificare se l’accordo:
• ha ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione,
• oppure sia stato raggiunto a tacitazione di ogni pretesa successiva.
Nella seconda ipotesi, il giudice deve acclarare se tale accordo «abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l'obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento» (Cass. 2088/2005; Cass. 11342/2004; Cass. 9500/1987).
Sì alla modifica dell’accordo anche senza mutamento delle condizioni economiche
Il padre lamentava che la donna avesse agito in giudizio nonostante non fossero mutate le condizioni economiche delle parti. Secondo la Corte, il giudice è libero di modificare o integrare l’accordo raggiunto tra i genitori nonostante:
• tale intesa sia pienamente valida,
• e in difetto di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche
Il giudicante deve sempre verificare la rispondenza della pattuizione con l’obbligo di mantenimento. Tale valutazione:
• deve avvenire alla luce del criterio dell’esclusivo interesse della prole, morale e materiale (art. 337 ter c. 2 c.c.),
• non incontra limiti processuali come il dovere di rispetto del principio della domanda e del principio dispositivo (ex art. 112 c.p.c.).
Conclusioni: il principio di diritto
In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del padre del minore ed ha enunciato il seguente principio di diritto:
«In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cui all'art. 337 ter c.c., comma 4, anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell'autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un'omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l'adempimento di un obbligo ex lege, l'autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell'effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all'interesse morale e materiale della prole».